Moodboard di forme contemporanee

Fitomorfismo, organicismo, evoluzionismo… Quali sono le correnti del (design) contemporaneo? Finita la lunga stagione degli “izm”, cosa funge da traino per i designer d’oggi? Soprattutto per i giovani, studenti universitari delle facoltà di design che d’istinto rispettano i modelli radicati ma ricercano una propria espressione ed un “timbro” per definire il proprio tempo? Sarà per una questione generazionale o definita dai tempi precari in cui tutti viviamo ma il senso di instabilità e mediocrità presente non permette l’emersione di punti “cardinali” o, quantomeno, non ne viene agevolata l’emersione.
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Oggi, sfogliando i miliardi di input dalla rete si possono visualizzare oggetti di ogni sorta e, soprattutto di ogni corrente artistica, in parole povere c’è spazio per (ed accesso ad) ogni possibile variazione della forma. Quello che correntemente viene considerato come accessibile a tutti e quindi, anche alle cose meno importanti per mancanza di filtro critico, è comunque spazio in cui la parte meno considerata del processo produttivo (i giovani studenti e laureati, soprattutto quelli che Becker chiama pubblico interno e informato del mondo dell’arte) può far sentire la propria voce e, guardacaso il risultato è quasi sempre lontano da quello che è lo standard della quotidianità, quello del lavoro professionistico che, frutto di mediazioni (se va bene, ma soprattutto di poca spinta d’aggiornamento e ricerca e rilassamento nella routine) e, obbiettivamente è più interessante e frutto di spunti, riflessioni, insomma è creativo e propositivo.
A volte ci è possibile scorgere i cambiamenti anche in situazioni ufficiali, come saloni destinati al design di prodotto o nelle riviste specializzate in architettura. È certo che se un edificio presenta acuti formali degni di nota, le riviste specializzate, la rete e le università fanno in modo che si possa discutere su di esso, sui suoi vantaggi, proposte e analisi. Altrove questo è meno omogeneo, nel graphic design, ad esempio, vi è un grande ruolo giocato dai magazine e dalla rete, ma le istituzioni sono più sorde e, spesso, poco aggiornate.?–
Questo report è per visionare cosa, dal punto di vista visivo & formale esclusivamente (*), è oggi, senza eccessivo personalismo, la Weltanschaung del ventunesimo secolo. A priori, essendo una così improba analisi – che non verrà assolutamente esaurita in questa sede, me ne guardo bene — mi è parso logico considerare più che altro gli elementi che non appartengono a mode passeggere. Che voglio dire? Potrebbe essere addirittura un paradosso considerarli non «passeggeri» essendo il loro contenitore (il periodo storico) circoscritto o destinato comunque ad esaurimento, ma credo siano individuabili alcuni cenni e/o spunti e/o filono che perdurano e superano la caducità dei “periodi”. Detto questo propongo (perché lo vedo di fronte ai miei occhi) una classificazione per comportamenti: inteso come approccio e/o risultato. Ed è assolutamente vitale sapere se tra i lettori ci sia qualche visione alternativa o complementare a questa analisi.

(*) Cosa voglio dire con “punto di vista visivo & formale esclusivamente”? Innanzitutto si da per scontato la presenza di un procedimento evoluzionista (in onore al professor Anceschi) del design, fatto, appunto di ricerca, analisi, sintesi, confronti con le parti – come per la politica, quando funziona – prove, soluzioni e ripensamenti, proposte, combattimenti. Nel miglior mondo possibile la forma è derivata dalla funzione e la collettività se ne accorge e la scelta del risultato “migliore possibile” riempie consapevolmente la loro vita. Nel mondo di tutti i giorni vengono effettuate scelte, ciò rivela che confrontando due designer a caso, esse sarebbero state quasi certamente diverse. Ogni scelta determina un passo verso la soggettività. Ogni analisi di questo tipo evidentemente porterà a definire aree incomplete e, soprattutto, non completamente condivisibili. Ma sono certo esista la forma di equilibrio, elastica e funzionante, in cui si svolgono serenamente le professioni del progetto.

?Ergo.?Quale panorama si apre ai miei occhi? Forme organiche, forme squadrate, stream—lined, forme che non vogliono rivelarsi, forme che rivelano la propria materia o immateria… Su queste ultime si dovrebbe aprire un capitolo a parte, per la Il sogno di generazioni,il dominio della forma, dal grande paradosso del modernismo, con da una parte il funzionalismo totally squared e dall’altra l’organicità plastica, alle architetture che rivelano un dinamismo perpetuo, e così via. Per alcuni campi del progetto, quale ad esempio il graphic design, sono dell’avviso che la riscoperta di alcuni esempi paradigmatici della produzione novecentesca sia propellente per la situazione del progetto oggi. Alla fine della fiera, non ho idea di come i critici stiano definendo questa fase storica nell’arte, nel design o nella vita normale. Se il modernismo ha fatto spazio al postmodern, oggi, che anche quest’ultima fase è si può dire conclusa (fallimentare o esaltante che sia stata), cosa stiamo vivendo??–

Il primo «mondo» è già accennato nel titolo, il fitomorfismo. Termine e filone assolutamente non nuovo, in quanto deriva da periodi abbastanza famosi in cui le forme organiche rappresentavano un senso di rinnovamento (anche derivata da una reazione rispetto ad un contemporaneo non gradito) con tutti i significati ulteriori che si possono aggiungere. Questo riferimento formale ha effettivamente il risultato di allontanarsi dalla personalizzazione della forma ed avvicinarsi ad un senso di universalità. Come se un ritorno a forme “perpetue” sia in grado di superare ogni barriera temporale e il designer di tramandare un senso di stabilità temporale piuttosto che la firma e il suo sogno progettuale. Pro di questo approccio, a mio avviso, sono la facilità di fruizione e la familiarità con il panorama esterno, il senso di calore e aderenza con problematiche reali e comprensibili alla molteplicità; contro: un rischio di decorativismo in agguato dietro l’angolo e una ridondanza eccessiva che porterebbe (come la storia ci insegna) ad un capovolgimento del favore dell’utenza, che potrebbe trovare questo stucchevole e oppressivo.
Divertente (forse no) è ricordare che il periodo estremo del decorativismo ecclettico e decò degli anni venti/trenta coincide con l’avvento prepotente della sintesi modernista fatta di materiali nuovi e forme nuove e che esso, quindici anni dopo e soprattutto negli Usa, riproporrà la sua versione del fitomorfismo, che si può chiamare organicismo, in quanto vengono ripoposte più le strutture generali della natura che i suoi aspetti esteriori.

?L’organicismo, nascendo anch’esso dalla stessa necessità di rendere al mondo forme a sua immagine, somiglianza e fruizione, recupera, dopo attenta analisi e sintesi, more or less (volutamente in inglese, visto che il detto less is more è un’icona di questo modo di pensare, l’altra è good design, in qualche modo il fine della prima). Soprattutto attraverso lo studio delle forme umane e naturali in genere, i risultati oltre ad ever aggiunto ingredienti al mondo delle cose e delle persone, hanno creato un ventaglio di forme (piene, vuote, vettoriali, bidimensionali, tridimensionali, materiali) che hanno dettato i canoni visivi e di gusto. Che piacciano o meno, questo è stato il ruolo, così come negli anni settanta ed ottanta l’esatto contrario si contrapponeva alla rigidità di un filone del modernismo. Oggi, questo aspetto ha le forme della geometria, della matematica e di strutture in continuo movimento, quasi a voler sottolineare che l’era in cui viviamo non necessita di punti «fermi», bensì di sottolineare il senso di continua evoluzione.?–
In alcuni campi, più che in altri (soprattutto in architettura) è aperta una stagione (da 15/20 anni a questa parte) denominata decostruttivismo, considerato, forse l’ultimo, in ordine di tempo, degli “stili internazionali” in architettura. Essendo inesperto in materia, mi limito a riferire il passo di wikipedia che può aiutare la comprensione del fenomeno.
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“… un’architettura ‘senza geometria’ (la geometria euclidea), piani ed assi, con la mancanza di quelle strutture e particolari architettonici, che sono sempre stati visti come parte integrante di quest’arte. Una non architettura, quindi, che si avvolgeva e svolgeva su sé stessa con l’evidenza e la plasticità dei suoi volumi. La sintesi di ciò è una nuova visione dell’ambiente costruito e dello spazio architettonico, dove è il caos, se così si può dire, l’elemento ordinatore. (…) viene infranta l’unità, l’equilibrio e la gerarchia della composizione classica per creare (attraverso) una geometria instabile con forme pure disarticolate e decomposte (…) la ‘destabilizzazione della purezza formale’. Da ciò scaturisce la cifra «de» anteposta al termine costruttivismo, che sta a indicare la “deviazione” dall’originaria corrente architettonica presa a riferimento”.?
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Ma questa è soltanto la corrente, oppure è il termine più adatto per definire i nostri tempi? Per esserlo dovrebbe essere applicabile a tutti i campi del progetto, oppure no? Se si, è possibile farlo? Forse è proprio questo il punto. Durante la fase delle avanguardie molti erano gli “ismi” che convivevano nello stesso periodo, stratificati, supplementari, distinti. Ognuno di essi si declinava nei diversi ambiti del progetto – si pensi solo al Futurismo – e tutti assieme sono riusciti a costruire il ventaglio di caratteristiche del proprio periodo tempo.